Scongiurata per il contribuente l’applicazione retroattiva della norma grazie all’impugnazione in appello: i bonifici non erano imputabili a maggior reddito di capitale; l’avviso di accertamento di cui è causa deve, pertanto, essere annullato.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

FATTO

Nella sentenza n. Sentenza del 19/10/2020 n. 141 Commissione Tributaria Regionale Friuli Venezia Giulia Sezione/Collegio 1 il giudice, inizialmente, puntualizza che la Guardia di Finanza esaminò la posizione fiscale del sig. V.E.C. per il quale erano emersi n. 7 bonifici per totali euro 145.000,00 effettuati nell’anno 2014 dalla Repubblica di San Marino verso l’Italia.

Il contribuente, convocato presso Guardia di Finanza, ammetteva la paternità di tali somme e dichiarava che la detenzione in San Marino di tali somme fosse iniziata nell’anno 2010.

I militari, constatavano a mezzo PVC (Processo verbale di Constatazione) redatto in data 13.11.2017 le seguenti violazioni:

  1. l’omessa dichiarazione di redditi diversi per euro 145.00,00 (ex art. 12 del DL n. 78/2009Contrasto ai paradisi fiscali”) per l’anno 2010;
  2. l’omessa dichiarazione di redditi di capitale presuntivamente maturati (ex art. 6 del DL n. 167/1990 – “Tassazione presuntiva”.) per gli anni dal 2010 al 2014;
  3. l’omesso versamento dell’imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero per gli anni dal 2012 al 2014.

L’Ufficio, in sede di recepimento di tale atto istruttorio, motivando che stante il c.d. raddoppio dei termini il periodo d’imposta 2008 fosse ancora accertabile e che il sig. V.E.C. non aveva provato la data di costituzione delle disponibilità detenuta in San Marino, accertava nel 2008 il periodo d’imposta ove presumere la costituzione di dette disponibilità.

Ne seguiva avviso di accertamento emesso per l’anno 2008 e notificato in data 14.12.2017 con cui venivano ripresi a tassazione le attività finanziarie detenute all’estero per euro 145.000,00 e gli interessi per euro 5.671,00 presuntivamente percepiti in quell’anno.

In data 03.05.2018 il sig. V.E.C. impugna l’atto impositivo assumendo:

  1. l’inapplicabilità del c.d. raddoppio dei termini stante l’irretroattività della norma che lo consentiva (DL 78/2009 art. 12) rispetto al periodo di imposta accertato (2008);
  2. il mancato rispetto del termine di 60 giorni tra la consegna del PVC (13.11.2017) e la notifica dell’atto impositivo (14.12.2017);
  3. l’inapplicabilità della disciplina del monitoraggio fiscale di cui al DL 167/1990 stante il fatto che le banche sanmarinesi, essendo sottoposte alle direttive e alla vigilanza della Banca d’Italia, devono essere ritenute alla stessa stregua di un operatore residente.

L’Ufficio si costituisce in giudizio replicando a tutte le censure mosse dal contribuente.

La CTP di Udine, con sentenza rigettava il ricorso osservando:

in ordine al motivo 1) che trattandosi di norma processuale risultava tempestivo l’agire dell’Ufficio; in ordine al motivo 2) che la norma invocata non era applicabile atteso che la verifica era stata effettuata in ufficio e che comunque controparte non aveva offerto la c.d. prova di resistenza; in ordine al motivo 3) che la Repubblica di San Marino era Stato estero agli effetti del c.d. monitoraggio fiscale.

Ha quindi proposto appello il contribuente concludendo per la riforma della pronuncia di primo grado con vittoria di spese.

Resiste l’Agenzia delle Entrate Ufficio di Udine costituendo in giudizio con deposito di controdeduzioni e concludendo per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza gravata con rifusione delle spese di lite.

La vertenza è trattata in pubblica udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello del Contribuente è fondato.

Osserva il Collegio che il raddoppio dei termini è un meccanismo che agevola l’Amministrazione Finanziaria nella propria attività accertatrice ed è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2006 in relazione a fattispecie che, oltre a violare norme tributarie, integrano verosimilmente una Condotta penalmente rilevante.

Le numerose incertezze applicative e i frequenti abusi hanno sin da subito messo in discussione tale disciplina introdotta dal c.d. Decreto Bersani-Visco, la quale, dopo un salvataggio da parte della Corte costituzionale, è stata sostanzialmente abrogata dal legislatore nel 2015.

Lo stesso meccanismo del raddoppio è stato esteso nel 2009 alle violazioni della disciplina sul c.d. monitoraggio fiscale, collegandolo ad una presunzione di evasione degli attivi esteri non dichiarati in Quadro RW.

Pertanto, ricostruiti i problemi applicativi di questa tormentata disciplina, la quale presenta dei profili di evidente contrasto con il diritto europeo c.d. primario.

Prendendo le mosse da una decisione resa dalla Corte di Giustizia UE il 15 febbraio 2017, quest’ultima ha stabilito che la disciplina di uno Stato membro che preveda maggiori termini di accertamento per capitali detenuti in Stati terzi costituisce una restrizione incompatibile con la libera circolazione del capitale ex art. 63 TFUE, la quale può essere considerata giustificata solo nell’ipotesi in cui fosse già esistente al 31 dicembre 1993.

A tale significativo colpo alla “tenuta” del raddoppio dei termini di accertamento per attività detenute all’estero – il quale inevitabilmente si ripercuote sulla disciplina italiana dell’art. 12, comma 2 bis, D.L. n. 78/2009, in quanto perfettamente sovrapponibile a quella olandese oggetto di censura europea – si aggiunge la recente presa di posizione della Suprema Corte emergente nell’ord. 2 febbraio 2018, n. 2662.

In tale statuizione viene finalmente avallata la condivisibile tesi secondo cui la presunzione di evasione di cui al comma 2 avrebbe natura sostanziale, perché produce indubbi “effetti negativi” a carico del destinatario obiettivamente imprevedibili al momento della relativa introduzione e, pertanto, irretroattiva (con un dictum la cui portata si estende anche al connesso meccanismo del raddoppio).

Tale ultimo arresto è stato altresì ribadito con la recentissima Ordinanza della S.C. n. 9119/2020 che ha avuto modo di osservare come la presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, in vigore dal 10 luglio 2009, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, ed inoltre perché una differente interpretazione potrebbe -in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – pregiudicare l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione. (Cass. 2666 del 2018 e Cass. 27845 del 2018).

L’appello va quindi accolto restando assorbiti gli ulteriori motivi di appello.

Le spese di lite del presente grado di giudizio vanno integralmente compensate fra le Parti avuto riguardo del contrasto sulla specifica questione, di segno opposto Cass. Sent. n. 29632 del 14.11.2019.

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P.Q.M.

Accoglie l’appello del Contribuente in riforma della sentenza di primo grado e per l’effetto, annulla l’avviso di accertamento di cui è causa.

Compensa tra le Parti le spese di lite del grado.