In concreto l’ufficio, ha indicato la partita iva dei soggetti campioni solo parzialmente, omettendo i tre numeri finali di cui essa si compone e non ha precisamente indicato alcun elemento identificativo degli otto campioni cui avrebbe fatto riferimento per l’accertamento fiscale. La Commissione respinge l’appello dell’Ufficio.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La società ” B srl “cancellata dal registro imprese, ha prodotto ricorso avverso l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate di Brescia, notificato il 6 luglio 2017 con il quale si procedeva ai sensi e per gli effetti dell’art. 39, 2° comma, lettera d-bis del DPR 600/73 alla determinazione induttiva del Reddito d’impresa, per il periodo d’imposta 2014, in euro 258.966,77 e del valore della produzione lorda in euro 463.388,00 con conseguente maggiore IRES di euro 68.889,00 ed IRAP di euro 15.276,00.

Le sanzioni venivano determinate in euro 77.748,00. La società chiedeva alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, l’annullamento dell’avviso di accertamento, con vittoria delle spese del giudizio.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Brescia, che eccepiva la carenza di legittimazione passiva del legale rappresentante, sig.ra B.L. e contestava le eccezioni contenute nel ricorso introduttivo.

Chiedeva quindi il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese del giudizio.

La Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, ha accolto il ricorso della società, ed ha annullato l’avviso di accertamento impugnato, con compensazione delle spese del giudizio. La C.T.P. Bresciana, respingeva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, in base al disposto dell’art. 28 comma 4 del D.lgs 21 novembre 2014 n. 174 ( decreto semplificazioni) secondo cui, i soggetti cancellati dal registro imprese conservavano la legittimazione passiva ai fini tributari, per cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese competente per territorio. La società ha eccepito, di non aver ricevuto alcun invito dall’ufficio a comparire per fornire i documenti e le notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, come dallo stesso affermato in atti, ma tale circostanza, in base al riscontro effettuato dai Giudici di prime cure, si era rivelata non veritiera, essendo risultato provato che l’invito dell’ufficio era stato invece ritirato, presso l’ufficio postale, da soggetto incaricato, in data 09.03.2017.

La CTP adita, ha riscontrato la illegittimità dell’avviso di accertamento, effettuato dall’Agenzia delle Entrate, su base induttiva, con utilizzo di percentuali di redditività, applicate sui ricavi, desunte dalle dichiarazioni dei redditi di altri contribuenti, esercenti la medesima attività della società ricorrente ed operanti nella stessa zona. In particolare la C.T.P. di Brescia che ha emesso la sentenza impugnata, ha evidenziato nella propria sentenza, che il reddito accertato con la percentuale applicata dall’ufficio sui ricavi del 5,82%, quale media dichiarata da un campione di otto soggetti siti nella stessa provincia ed esercenti la medesima attività della ricorrente, ed il recupero di costi esposti in bilancio, ma non documentati, non poteva fondatamente attribuirsi alla ricorrente, per mancata indicazione, nell’avviso di accertamento in oggetto, dei nominativi dei suddetti imprenditori, che pertanto non sono stati individuati dai Giudici di prime cure, né dalla ricorrente, utilizzati quali “campione”, a cui l’ufficio avrebbe fatto riferimento per la comparazione con i dati contabili e l’indice reddituale, dichiarati dalla società ricorrente. L’ufficio, come dallo stesso espressamente asserito, per motivi di privacy, ha indicato nell’avviso di accertamento soli dati reddituali che essi avrebbero dichiarato e sui quali versato le imposte dovute, ad essi afferenti, ma non ha precisamente indicato alcun elemento identificativo degli otto campioni cui avrebbe fatto riferimento.

In tal modo veniva inibita la possibilità di instaurare un valido contraddittorio con la società “B s.r.l.” cessata”, con palese violazione del diritto al contraddittorio e alla difesa espressamente sancito dall’articolo 24 della Costituzione.

In concreto infatti l’ufficio, ha indicato la partita iva di detti soggetti campioni solo parzialmente, omettendo i tre numeri finali di cui essa si compone.

Da qui l’accoglimento del ricorso, avendo ritenuto la C.T.P. di Brescia, l’avviso di accertamento contestato, illegittimo in quanto carente di supporto probatorio.

L’Agenzia delle Entrate, con il proprio ricorso in appello prodotto a codesta C.T.R. di Brescia, ha contestato la motivazione della sentenza impugnata, precisando che sarebbe spettato alla società contribuente assumersi l’onere della prova trattandosi di accertamento induttivo che poteva essere fondato, legittimamente, su presunzioni “semplicissime”, prive cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi ribadito in sede di gravame, la legittimità del proprio operato e chiesto la riforma della sentenza impugnata con conferma dell’avviso di accertamento ed ha eccepito la violazione dell’articolo 39, comma 2 del DPR 600/73, applicato nel caso di specie a seguito della mancata produzione documentale, richiesta formalmente alla società ricorrente ma da questa non consegnata. con condanna alla rifusione delle spese del giudizio. L’Agenzia delle Entrate ha altresì prodotto in giudizio una memoria illustrativa nonché proprie note di trattazione scritta della controversia. Ha resistito all’appello, con le proprie controdeduzioni, la società cessata B s.r.l. con le quali ha contestato il dedotto avversario e chiesto la conferma della decisione di primo grado, con condanna al pagamento delle spese processuali compensate nel primo giudizio e condanna al pagamento delle medesime per il secondo grado.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Questa Commissione Tributaria Regionale di Brescia, all’esito dell’esame degli atti di causa, preso atto del disposto normativa di cui all’art. 39 2 comma del D.P.R. n.600/1973 e della lettera d-ter della medesima disposizione che giustificano il ricorso all’accertamento con metodo induttivo del reddito d’impresa per l’anno in oggetto, atteso che la società ricorrente non ha dato seguito all’invito dell’ufficio regolarmente recapitato, così come disposto ai sensi e per gli effetti dell’art.32, primo comma, numeri 3) e 4) del decreto su citato e dell’art. 51 secondo comma, numeri 3) e 4) del D.P.R. n.633/72, ritiene che l’Ufficio, nel caso di specie abbia potuto legittimamente determinare il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili nella specie non consegnate dalla società ricorrente e pertanto di fatto da ritenersi inesistenti.

Conseguentemente il metodo di determinazione induttiva-utilizzato dall’Agenzia delle Entrate nel presente caso – del reddito d’impresa è conforme al dettato normativa, con possibilità di potersi avvalere anche di presunzioni, ancorchè prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, in conformità al disposto normativa su richiamato.

L’accertamento induttivo puro, quale è quello in oggetto è infatti fondato su presunzioni non qualificate e pertanto dette ” semplicissime” che possono avere un valore dimostrativo minore rispetto a quelle semplici, utilizzate nell’accertamento analitico-induttivo, purchè tuttavia esse non assumano profili di arbitrarietà, indeterminatezza e contraddittorietà.

Le presunzioni “semplicissime” non sono contemplate da alcuna disposizione, ma sono rappresentate da tutti quegli elementi o nozioni utilizzati in sede di controllo in funzione di dimostrazione indiretta di fatti o situazioni e che, in sede contenziosa, non possono che essere, inevitabilmente, sottoposte al vaglio del Giudice, cui spetta esprimersi sulla relativa capacità probatoria.

Nel caso si specie, il metodo utilizzato dall’ufficio ai fini dell’accertamento del reddito non dichiarato, mediante l’individuazione di una percentuale da applicare sui ricavi, mediamente applicata, rilevata da campioni esercenti la medesima attività della società ricorrente, titolari, come la stessa, di esercizi commerciali di vendita di tessuti al dettaglio e all’ingrosso, ubicati nella medesima zona in cui si trovava il luogo di esercizio dell’attività della stessa, privo di precisi riferimenti atti alla individuazione di detti “campioni” e dei dati contabili da questi dichiarati nelle proprie dichiarazioni fiscali, prodotte per l’anno in esame, non consente alla ricorrente di poter instaurare, essendo l’avviso di accertamento in esame carente di adeguata motivazione, un valido contraddittorio e di poterle consentire l’esercizio in concreto, del diritto alla difesa, di cui all’articolo 24 della Costituzione.

Allo stesso modo è precluso al Giudice di verificare la legittimità e fondatezza del reddito accertato, fondatamente attribuibile alla società contribuente.

Questa Commissione, pertanto, condivide le ragioni che hanno determinato la decisione dei Giudici del primo grado del presente giudizio.

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P.Q.M.

La Commissione respinge l’appello dell’Ufficio e per l’effetto conferma la sentenza di l° grado. Spese compensate