IL VALORE DI VENDITA NON DOVEVA ESSERE RETTIFICATO: LA CORTE DA RAGIONE AL CONTRIBUENTE (SOCIETA’)

La società che opera nella compravendita di beni immobili effettuata su beni propri era stata attinta da avviso di rettifica del valore di vendita.

La corte in relazione ai motivi accolti cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR: dai motivi accolti, il giudice non aveva valutato tutte le prove sottoposte dal contribuente

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   Il ricorrente in causa

Sentenza della Corte di Cassazione Sezione 5 n. 20859/2020. Ricorso proposto dalla V. società a responsabilità limitata esercente attività di Compravendita di beni immobili effettuata su beni propri, ricorrente contro Agenzia delle Entrate avverso la sentenza Commissione tributaria regionale del Lazio n. 121/04/2012, pronunciata il 14 febbraio 2012 e depositata il 7 marzo 2012;  

Il contenzioso tributario

Per opporsi al recupero a tassazione sulla base di una ricostruzione fattuale errata della Agenzia delle Entrate riguardo ai risvolti legali di una operazione di compravendita immobiliare di cui la società i faceva promotrice.

Cosa è successo prima che il ricorso arrivasse in Cassazione

La CTR aveva accolto il gravame ritenendo raggiunta la prova della fondatezza del recupero a tassazione della differenza di valore tra quello dichiarato di euro 3.000.000,00 e quello rideterminato di 540.000,00.

La ricostruzione fattuale è la seguente. La V. s.r.l. conferì a R.D.V. I.t.d (id est limited company, società a responsabilità limitata costituita secondo le leggi vigenti in Inghilterra) l’incarico di intermediazione con riferimento alla vendita di una porzione, del valore di 18.000.000,00 di euro, di un immobile sito in Milano (il cui prezzo totale era stato indicato dalla venditrice in euro 65.000.000,00).

Per l’incarico fu pattuita una provvigione pari ad euro 6.000.000,00 da corrispondere metà alla sottoscrizione del contratto preliminare di compravendita e metà alla stipula del rogito del contratto di compravendita.

Il preliminare, in forza di transazione fu risolto, con conseguente restituzione della caparra versata (pari ad 8.000.000,00 di euro); nonostante la mancata conclusione del contratto definitivo, come da contratto di intermediazione, la contribuente corrispose comunque alla società intermediaria 3.000.000,00 di euro.

La CTR, convenendo con l’Agenzia delle Entrate, ritenne che il detto importo, eccessivo rispetto anche alla percentuale del 3% (come risultante da usi e consuetudini di cui alla Camera di Commercio), fosse antieconomico, così validando la rideterminazione dello stesso effettuata dall’Amministrazione in euro 540.000,00 euro (pari al 3%) con conseguente recupero a tassazione della differenza.

Sicché, la CTR ritenne fondato l’accertamento, ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, in ragione della ritenuta antieconomicità dell’operazione in quanto assolutamente contraria ai canoni dell’economia, non giustificata dalla contribuente.

Contro la sentenza d’appello la contribuente ricorre in giudizio mentre l’Agenzia delle Entrate si costituisce, senza controricorrere.

I motivi di impugnazione accolti

Rilevano i giudici l’omessa motivazione circa la ritenuta antieconomicità dell’operazione, tanto in relazione alla percentuale della provvigione, da determinarsi in ragione superiore al 3% (motivo n. 6), quanto in merito alla mancata considerazione complessiva dell’oggetto dell’intermediazione, ricomprendente anche un’opzione per l’acquisto dell’intero immobile per euro 65.000.000,00 di euro (motivo n. 7).

I motivi meritano accoglimento (con assorbimento degli altri), sussistendo il dedotto vizio motivazionale in ordine alla mancata considerazione, insieme agli altri elementi invece valutati ed ai fini del conseguente giudizio in termini di antieconomicità, della complessiva operazione economica, tale da ricomprendere anche un’opzione di vendita dell’intero immobile (ad un prezzo di euro 65.000.000,00).

La provvigione infatti, sostiene il contribuente Srl, è stata determinata dal Giudice in violazione (o falsa applicazione) tanto del principio di «insindacabilità delle scelte imprenditoriali» quanto sovvertendo la gerarchia delle fonti.

Si contesta pertanto, proficuamente, l’omessa motivazione circa la ritenuta antieconomicità dell’operazione, tanto in relazione alla percentuale della provvigione, da determinarsi in ragione superiore al 3%, quanto in merito alla mancata considerazione complessiva dell’oggetto dell’intermediazione, ricomprendente anche un’opzione per l’acquisto dell’intero immobile per euro 65.000.000,00 di euro.

Sussistendo il dedotto vizio motivazionale in ordine alla mancata considerazione della complessiva operazione economica, tale da ricomprendere anche un’opzione di vendita dell’intero immobile (ad un prezzo di euro 65.000.000,00) sono accolti i motivi, e la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

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P.Q.M.

La corte cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche, alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2020.