Il reddito indicato nella dichiarazione estera era stato determinato secondo la normativa fiscale straniera: annullamento della cartella di pagamento con vittoria di spese per entrambi i gradi di giudizio

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO del 05 marzo 2020 n. 705 – Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 1

Concisa esposizione ex art 36 co.2 n. 2 d. lgs. 542/96

Si dà atto della trattazione in pubblica udienza; il Giudice relatore espone al Collegio i fatti e le questioni controverse, come riportati nei contrapposti atti defensionali; successivamente il Presidente ammette le parti costituite presenti alla discussione.

Oggetto del processo è la cartella di pagamento indicata in frontespizio, emessa dall’Agente della Riscossione pro-tempore, su iscrizione a ruolo della Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale 1^ di Milano nei confronti di B. A., a seguito di controllo formale sulla liquidazione della dichiarazione fiscale relativa all’anno d’imposta 2012, eseguito ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 36-ter, d.P R. 600/1973, dopo un’attività istruttoria relativa al credito per le imposte versate in Slovacchia nell’anno 2012.

L’intimato era stato dipendente della “E. I. e R. S.p.A.”, distaccato dal 2008 al 2013 in Slovacchia presso una consociata estera, pur mantenendo la propria residenza fiscale in Italia, ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. n. 917/1986; per l’intera durata del distacco all’estero B. A. continuava ad essere assoggettato alla tassazione italiana anche sui redditi prodotti in Slovacchia – ex art. 3, T.U.I.R.– che venivano determinati sulla base delle retribuzioni convenzionali, ex art. 51, c. 8-bisT.U.I.R..

Tuttavia, poiché contemporaneamente i medesimi redditi da lavoro dipendente prodotti in Slovacchia venivano assoggettati a tassazione slovacca, rivendicava in Italia, ai sensi dell’art. 165, T.U.I.R., un credito d’imposta conseguente alla doppia imposizione, quantificato in E. 16.752.

La cartella di pagamento per E. 9.453,24 qui impugnata, consegue al parziale disconoscimento del credito in Italia per le imposte pagate in Slovacchia nel 2012, contestate come erroneamente determinate, per una maggior IRPEF di E. 5.813,00, sanzioni di E. 1.743,90, interessi per E. 1.615,30, diritti notifica per E. 5,88 e compensi di riscossione per E, 275,16.

Contro quest’atto, inutilmente decorsi 90 giorni dalla notifica del reclamo-mediazione previsto dall’art 17 bisc. 2 d. lgs 546/1992, l’intimato si costituiva in Ctp deducendone l’illegittimità; in particolare, contestava l’omessa notifica della comunicazione d’irregolarità (c.d. avviso bonario) ai sensi dell’art. 36 ter del D.P.R. n. 600/73, prima della notifica della cartella di pagamento. 

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale 1^ di Milano si costituiva in giudizio, controdeducendo a tutte le questioni prospettate dall’intimata ricorrente e resistendo a tutte le deduzioni conseguentemente presentate con le medesime motivazioni indicate nei propri atti procedimentali, insistendo per la piena legittimità della propria pretesa impo-sanzionatoria.

L’impugnata sentenza di prime cure rigettava il ricorso ritenendo e considerando che “Il ricorrente solleva l’eccezione di nullità della cartella impugnata per omessa notifica dell’atto prodromico, chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’atto impugnato. […]. La Commissione osserva che, relativamente all’eccezione di nullità della cartella per la omessa notifica dell’atto prodromico relativo al controllo formale, l’Ufficio ha provveduto a spedire la comunicazione rettifica esito di controllo presso la residenza del ricorrente in data 2 dicembre 2016. La notifica si è perfezionata per compiuta giacenza. Relativamente alle raccomandate ordinarie (cd raccomandata bianca) l’art. 40 del regolamento postale D.P.R. 655/82 dopo aver previsto al secondo comma che le corrispondenze “che per qualunque ragione non si siano potute recapitare … ” sono rispedite ai mittenti, precisa nel successivo comma che laddove dette corrispondenze inesitate non siano state chieste in restituzione dai mittenti, le stesse sono tenute in giacenza presso gli uffici di destinazione per un periodo “di giacenza” che, per le raccomandate in esame, è di trenta giorni. A sua volta, l’articolo 32 del decreto del Ministro delle comunicazioni del 9 aprile 2001, dopo aver disposto al primo comma che gli invii di posta raccomandata “sono consegnati al destinatario o ad altra persona individuata…, dietro firma per ricevuta”; stabilisce nel successivo comma che, in coso di assenza all’indirizzo indicato, ” il destinatario e altre persone abilitate a ricevere l’invio possono ritirarli presso l’ufficio postale di distribuzione, entro i termini di giacenza previsti dall’art. 49“. Il successivo articolo 49; dopo aver stabilita (primo comma) in trenta giorni a decorrere dal mancato recapito” il termine di giacenza degli invii raccomandati; precisa al terzo comma che trascorso detto termine, “se non è possibile o dovuta la restituzione, gli invii vengono distrutti”. Anche nel caso di notificazione di un atto a mezzo di raccomandata “bianca”; quindi, la normativa di riferimento – analogamente a quanto stabilito dall’articolo 8 della legge n. 890 del 1982 per le notificazioni mediante raccomandata ”verde” – fa discendere dal mancato ritiro del piego depositato presso l’ufficio di distribuzione entro il termine di legge l’effetto della compiuta giacenza. Anche per le raccomandate “bianche”, quindi, vige la regola secondo la cui la compiuta giacenza comporta il perfezionamento della notificazione nei confronti i del destinatario. Nel merito non può assumere rilevanza la dichiarazione dell’E. in quanto non proviene da1la società estera distaccataria, né il ricorrente spiega come sia arrivato a quantificare in E. 102.258,49 il suo reddito indicando come differenza i contributi previdenziali che quantifica in oltre 76 mila euro. Al contrario gli stessi contributi previdenziali che emergono dall’allegato 6 prodotto dal ricorrente ammontano solo ad E. 11.719,76. L’Ufficio quindi ha correttamente determinato la base imponibile in E. 178.622,85 “.

Contro questa sentenza:

  1. ha proposto tempestivo appello, censurandone le motivazioni e riproponendo le medesime questioni già dedotte in primo grado; in particolare ha precisato che: “il reddito indicatonella dichiarazione estera è determinato secondo la normativa fiscale straniera, mentrel’importo con cui confrontare il reddito convenzionale imponibile in Italia, ai fini del riproporzionamento dell’imposta estera, dettato dal comma10 dell’art. 165 del TUIR, deve essere quello che sarebbe stato determinato, in via ordinaria (i.e. ai sensi delle previsioni dell’art. 51 del TUIR), nell’ipotesi in cui fosse stato prodotto in Italia. Inoltre, in questa sede, preme chiarire che la Società E. I. e R. S.p.A.. è solita mobilitare i suoi dipendenti tra le varie sedi estere del gruppo e seguire ‘le attività connesse alla gestione del ciclo paga correlate alla permanenza all’estero dei soggetti distaccati. In particolare, in caso di distacco all’estero del lavoratore dipendente, la Società emette una certificazione attestante il calcolo del reddito di lavoro dipendente prodotto nello Stato estero, interamente erogato dalla Società stessa quale datrice di lavoro, determinato secondo le modalità indicate dal summenzionato articolo 51 del TUIR […]come di consueto, E. ha operato il ricalcolo del reddito secondo i chiarimenti fomiti dalla Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 48/E dell’08.07.2013, come già dettagliatamente illustrato nel ricorso di primo grado, ed ammessa la relativa certificazione attestante l’ammontare del reddito prodotto all’estero ai sensi dell’art. 51, primi 8 commi; del TUIR per agevolare il dipendente nel recupero, in sede dichiarativa, del credito d’imposta per le imposte assolte all’estero nell’anno 2012 e lenire la doppia imposizione subita. […] l’attività di lavoro prestata all’estero in costanza di distacco viene resa nell’interesse della società distaccante che continua ad essere l’unico datore di lavoro nel rapporto contrattuale con il dipendente, responsabile della sua remunerazione e di tutti gli adempimenti formali ad essa connessi. Tanto premesso, appare piuttosto inverosimile che l’oggetto della materia del contendere possa risiedere nell’erronea invalidità attribuita alla certificazione rilasciata dal dotare di: lavoro italiano nel pieno rispetto della normativa vigente, basando le-proprie congetture esclusivamente sul mero confronto dei valori reddituali riportati nelle diverse certificazioni (italiana e slovacca), senza chiedersi come possa essere stata effettuata la rideterminazione del reddito estero ai sensi della normativa locale e disconoscendo tout court il doto reddituale espresso nella certificazione italiana (che tiene invece conto delle disposizioni del TUIR). A riguardo, forse è addirittura superfluo ricordare che la normativa tributaria dell’ordinamento slovacco prevede delle regole di determinazione della base imponibile del reddito del tutto differenti da quelle italiane, che non consentono in alcun modo di valutare i diversi dati reddituali attraverso uno sterile confronto di soli dati numerici […] Senza considerare peraltro che: la motivazione dell’impugnata sentenza risulta viziata in termini di intrinseca contraddittorietà. Posto che a mente dei giudici di prime cure: “Nel merito non può assumere n1evanza la dichiarazione dell’E. in quanto non proviene dalla società estera distaccataria “. In altre parole, il diniego del credito per le imposte pagate all’estero nel 2012 sembra fondersi sull’assunto per cui il Contribuente avrebbe dovuto indicare nella sua dichiarazione dei redditi italiana, ai fini del recupero del credito d’imposta, quale reddito effettivo prodotto all’estero, il valore reddituale indicato nella certificazione dei redditi slovacca, sebbene la Società estera non sia la società datrice di lavoro del dipendente e il reddito ivi riportato sia stato determinato secondo la normativa locale (e non anche italiana) utilizzando i valori riportati nei cedolini paga italiani, quale unica fante: reddituale del dipendente”. Conclude chiedendo l’annullamento della cartella di pagamento qui impugnata, con vittoria di spese per entrambi i gradi di giudizio.

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale 1^ di Milano si è costituita in giudizio, contestando tutto quanto ex adverso dedotto e resistendo a tutte le questioni sollevate con le medesime motivazioni già controdedotte in primo grado per la difesa delle proprie ragioni, asserendo la correttezza della sentenza impugnata In particolare controdeduce che “”L’Ufficio è giunto a tale rettifica partendo dal reddito complessivo del Sig. B. pari ad E. 178.622,85 per l’anno 2012 così co- me indicato nel certificato delle imposte versate in Slovacchia e delle ritenute operate dalla società distaccataria. [. . .] La dichiarazione dell’E. prodotta dal contribuente, a tal proposito, non può assumere rilevanza […]-1perché è una dichiarazione che non proviene dalla società estera distaccataria”. Conclude per la conferma della sentenza impugnata con vittoria di spese.

Dopo aver sentite le parti costituite presenti ammesse alla discussione, che hanno precisato in udienza le proprie rispettive conclusioni, riportandosi alle proprie rispettive istanze e deduzioni già svolte in atti, visti gli atti di causa ed esaminati i documenti prodotti, ritenuti sufficienti gli elementi istruttori acquisiti, il Collegio si ritira in camera di consiglio e pone la causa in decisione ai sensi dell’art. 35 d.lgs. n° 546/1992, deliberando come in dispositivo.

MOTIVAZIONE

Succinta esposizione delle ragioni di fatto e dei motivi di diritto della decisione ex art. 36, c. 2, n° 4, d.lgs. 546/92.

L’appello è fondato e la sentenza impugnata va riformata. II Collegio ritiene e considera che l’appellante abbia fornito elementi atti a disattendere le argomentazioni di controparte, fatte proprie dal primo giudice, sul soggetto legittimato a fornire i dati validi per la determinazione del reddito conseguito all’estero, come già esposti in narrativa ed esaminati nel contraddittorio delle parti in pubblica udienza. In particolare, il diniego del credito per le. imposte pagate all’estero non può fondarsi tout-court sul reddito indicato nella certificazione dci redditi slovac- ca, calcolato secondo la normativa fiscale slovacca (atteso – peraltro – che tale società consociata estera non è il datore di lavoro di B. A.), bensì sui valori indicati nei cedolini paga e C.U. italiani, rilasciati da E. I. e R. S.p.A., unico datore di lavoro e sostituto d’imposta di B. A.

Infatti, l’attività di lavoro prestata all’estero in costanza di distacco è stata disposta e resa per conto e nell’interesse della società italiana distaccante, che ha continuato ad essere-ad ogni effetto di legge- l’unico datore di lavoro, contrattualmente obbligato con tale dipendente.

Per il distacco all’estero del proprio lavoratore. dipendente, E. I. e R. S.p.A. ha operato il ricalcolo del reddito secondo le indicazioni fornite dalla, Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, n. 48/E del 08/07/2013 come già dettagliatamente illustrato nel ricorso di primo grado, ed emesso una certificazione attestante il calcolo del reddito di lavoro dipendente prodotto nello stato estero, interamente erogato dalla medesima Società quale unica datrice di lavoro, determinato secondo le modalità indicate dall’art. 51, primi 8 commi, T.U.I.R..

Infatti, l’importo con cui confrontare il reddito convenzionale imponibile in Italia, ai fini del riproporzionamento dell’imposta estera, dettato dal comma 10 dell’art. 165 del T.U.l.R., deve essere quello che sarebbe stato determinato, in via ordinaria (citato art.51, T.U.I.R.), nell’ipotesi in cui fosse stata prodotta in Italia.

L’Ufficio, attore sostanziale nel processo sull’obbligazione tributaria, invece, non ha fornito elementi precisi atti a disattendere tale certificazione, limitandosi ad affermare apoditticamente: “La dichiarazione dell”E prodotta dal contribuente, a tal proposito, non può assumere rilevanza […] perché è una dichiarazione che non proviene dalla società estera distaccataria”. 

Le questioni qui definite esauriscono la controversia, essendo, i motivi di doglianza non espressamente esaminati, stati ritenuti non n1evanti ai fini della decisione e comunque non idonei a condurre ad una conclusione di segno diverso.

Victus victori in expensis condemnnatus: est: come da giurisprudenza di legittimità (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 6259 del 18/03/2014, Rv. 629993 e sent. 4201/2002 e 15787/2000) il giudice d’appello, che riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, in difetto di una esplicita rinuncia della parte risultata poi vittoriosa (Cass. 13724/1999, 985911997 e 5720/1994), deve procedere anche d’ufficio, ad un nuovo completo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo dell’intera lite; ciò perché, per l’effetto devolutivo dell’appello, la valutazione della soccombenza opera in base ad un criterio unitario e globale.

Nel caso che qui ci occupa, poiché la fondatezza originaria del ricorso introduttivo avrebbe giustificato la pronuncia sulle spese per la soccombenza della parte pubblica qui appellata, questo Collegio ritiene di dover riformare l’impugnata sentenza di 1° grado anche in punto di spese che liquida, insieme a quelle relative a questo grado del giudizio -tenendo conto della natura e complessità dell’affare, dell’importanza anche economica delle questioni trattate, del pregio dell’opera, dell’urgenza della prestazione, dei risultati del giudizio e dei vantaggi conseguiti, nonchè del valore della controversia determinato (ex art. 5, c.4, D.M. sotto indicato) in conformità all’importo delle imposte, tasse, contributi e relativi accessori oggetto di contestazione, con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali, in deroga all’art. 12, c. 2, d.lgs. 546/92, liquidandole complessivamente per ciascun grado di giudizio-ex art. 15, c. 2 d.lgs. 546/92– in base ai parametri disciplinati dal D.M. Min. Giustizia 10.09.2014, n. 55, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 dicembre 2012 n. 247“, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione l^, definitivamente pronunciando,

accoglie

l’appello di parte privata e

riforma

la sentenza n. 563/18/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, depositata il 11/2/2019.

Condanna

altresì, nella persona del legale rappresentante pro-tempore, l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale l^ di Milano, appellata soccombente, al pagamento a B. A., delle spese di lite.